giovedì 8 aprile 2010

Imputato di nulla

Succede anche questo.
Un tale viene indagato per circa un anno da un PM noto e destinato a brillante carriera.
All'esito dell'indagine preliminare viene rinviato a giudizio ed invitato a comparire davanti ad un giudice monocratico.
Arrivato il giorno del dibattimento, il giudice si accorge che il PM non ha formulato nessun capo di imputazione a suo carico e che in atti non vi è neppure una querela che lo nomini.
Scrive, infatti, il giudice:"Effettivamente nei confronti di xxxxx non sussistono né la querela né l'imputazione. Vanno, pertanto, accolte le conclusioni del difensore.... Ai sensi dell'art. 469 c.p.p. la improcedibilità va immediatamente dichiarata con sentenza.
Nessuna statuizione in ordine alle spese di giustizia, stante la inesistenza sia della quarela che dell'imputazione."
Tuttavia anche il giudice non vuole passare inosservato e, nel dispositivo, trova il modo di completare l'assurda vicenda statuendo: "Dichiara non doversi procedere nei confronti di xxxxx per il reato ascritto per difetto di querela".
Ma quale reato se non ne era stato ipotizzato nessuno?
Chi pagherà le spese di giustizia?
E quelle dell'avvocato difensore dell'imputato fantasma?

lunedì 5 aprile 2010

Falsa partenza continuata

Nel lontano 1995 una società fallisce e si accerta un ammanco di circa un miliardo e mezzo, che a quell'epoca non erano bruscolini.
La Procura, con una velocità incredibile, dopo solo un anno, ottiene dal G.U.P. il decreto che dispone il giudizio nei confornti dei due amministratori.
Il Tribunale, dopo avere aspettato cinque anni in un dibattimento ricco di colpi di scena, finalmente nel 2001 scopre che il fatto "risultava diverso da come configurato nelle imputazioni" ed ordina la trasmissione degli atti al P.M..
Questi ottiene, nel febbraio 2004, un nuovo rinvio a giudizio con una nuova più ampia formulazione dell'imputazione, ma il Tribunale dichiara nulla anche questa formulazione e ritrasmette gli atti al P.M., il quale, tuttavia, forte del fatto che il G.U.P. era lo stesso che aveva già disposto il giudizio e che quindi riteneva corretto il capo di imputazione, non cambia nulla ed ottiene, nel Dicembre 2004, un altro decreto che dispone il giudizio, ma il Tribunale, naturalmente, annulla anche questo decreto.
Il P.M. a questo punto modifica ancora il capo di imputazione ed ottiene il quarto decreto che dispone il giudizio nel maggio 2006.
Questa volta il Tribunale non fa questioni sul capo di imputazione, ma scopre che, con l'entrata in vigore della ex Cirielli (Dicembre 2005), che ha ridotto i termini di prescrizione, il reato di bancarotta si è estinto già nel 2007 dopo 12 anni e 6 mesi dal fallimento e, quindi, con poche righe di motivazione, dichiara estinto il reato contestato ai due amministratori.
Qualche maligno potrebbe pensare che, se non fosse stata rilevata questa causa estintiva del reato, ci sarebbe stato il quinto round tra GUP e Tribunale.
I creditori ed i dipendenti della società fallita non si sono divertiti affatto ad assistere al match.

domenica 4 aprile 2010

Il danno e la beffa ovvero contento e gabbato

Questa è la storia banalissima di un tale al quale hanno sfasciato l'auto a seguito di un tamponamento.
Nella sentenza non è indicato l'anno del fatto, ma certamente questo deve essere accaduto almeno 15 anni fa, visto che il procedimento in appello era iniziato nel 1998 ed esaurito nel 2004.
Il Pretore aveva disposto una consulenza tecnica sul veicolo danneggiato ed il consulente aveva ritenuto che per la riparazione dei danni fosse necessaria una certa somma + IVA e che l'auto sarebbe rimasta ferma per le riparazioni un certo tempo.
Nonostante queste preziose indicazioni, il Pretore, prima del 1998, aveva deciso che il danneggiante e la compagnia di assicurazione risarcissero solo la somma prevista per le riparazioni, senza IVA né fermo tecnico.
Il danneggiato aveva proposto appello ed il Tribunale (nel 2004) lo aveva respinto sostenendo che non vi erano prove che l'auto fosse stata realmente riparata e che quindi fosse rimasta ferma per le riparazioni.
A questo punto (e siamo nel 2005), il danneggiato, invocando la giurisprudenza consolidata della Suprema Corte che in questi casi riconosce, oltre alla somma per le riparazioni, anche il rimborso dell'IVA ed un equo indennizzo per il fermo tecnico, proponeva ricorso per Cassazione, articolando tre diversi motivi: il primo per l'IVA, il secondo per il fermo tecnico ed il terzo per le spese, che in appello erano state poste a suo carico.
Ed ecco che la Suprema Corte, con sentenza n. 1688, depositata il 27 Gennaio 2010, richiamando i propri principi di diritto, come invocati dal ricorrente, finalmente gli dà piena ragione con questa motivazione:
"La sentenza che non s'è adeguata agli enunciati principi, deve essere, dunque, cassata sul punto. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, questa Corte, ai sensi dell'art. 384 c.p.c. può emettere la decisione nel merito, come da dispositivo.
Resta assorbito il terzo motivo di ricorso che concerne le spese di causa, dovendosi in questa sede provvedere sulle spese dell'intero processo.
Sussistono i giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese dell'intero processo".
Così, dopo tanti anni di causa, il povero danneggiato, avrà pure la soddisfazione di ricevere l'IVA ed il rimborso per il fermo tecnico, ma dovrà corrispondere al suo avvocato le spese e gli onorari di tre gradi di giudizio, che certamente supereranno di gran lunga le somme per le quali ha tanto combattuto.
E questa volta non potrà ricorrere più a nessuno, con tanti saluti al principio che le spese seguono la soccombenza e tanti incoraggiamenti alle Compagnie di assicurazione di continuare a non pagare quanto dovuto.

sabato 3 aprile 2010

AUGURI DI BUONA PASQUA



Dopo tanto tempo, Temi Nera riprende le sue pubblicazioni.
Ho scelto l'immagine che vedete perché mi sembra rappresenti bene lo spirito pasquale.
Noi umani mangiamo l'agnello, mentre la mamma scimpanzè si occupa del leoncino abbandonato.
I lettori, che prima erano pochi amici, dopo la pubblicità che il Consiglio Superiore della Magistratura ha voluto dare a questo blog, sono diventati moltissimi e tutti mi chiedono di rinnovare i fasti di sentenze che ormai vedo citate in mille altri articoli e post, come esempio di sciatteria e faciloneria nell'esercizio della funzione giudiziaria.
Da pochi giorni sono un pensionato e questo renderà più difficile l'accesso diretto alle fonti dalle quali trarre le perle migliori, ma confido nella bontà e nel numero di amici avvocati e magistrati che generosamente mi invieranno sentenze meritevoli di un commento ironico, nello stile di Temi Nera.
Poiché la faciloneria e la superficialità sono caratteristiche non esclusive della magistratura italiana, ma si incontrano anche in altri Paesi, inizierò questa seconda serie con una sentenza della Corte d'Appello di Riom (Francia), che doveva giudicare sul punto se i rumori di un pollaio eccedessero o meno la normale tollerabilità per gli abitanti delle vicinanze.
In primo grado il Tribunale di Clermont-Ferrand aveva ritenuto che i rumori ed il fastidio erano eccessivi.
In appello ecco la motivazione: "Considerato che il pollo è un animale anodino e stupido, al punto che nessuno è ancora riuscito ad addestrarlo, neanche un circo cinese;
che la sua vicinanza comporta molto silenzio, alcuni teneri borbottii e dei suoni che vanno dal gioioso (quando depone l'uovo) al sereno (quando gusta un vermetto di terra), passando per lo spaventato (vista di una volpe);
che questa piacevole vicinanza non ha mai disturbato se non coloro che, per altri motivi, nutrono rancore nei riguardi dei proprietari di tali gallinacei;
che la Corte non giudicherà mai che la barca importuni il marinaio, la farina il fornaio, il violino il direttore d'orchestra ed il pollo un abitante del villaggio La Rochette, frazione di Salledes (402 anime), nel Dipartimento del Puy de Dome;
Per questi motivi riforma la sentenza di primo grado, e condanna l'attore alle spese dei due gradi di giudizio".

mercoledì 2 aprile 2008

Il Monotribunale

Avevamo visto il bibunale, ma le sorprese non finiscono mai.
L'ultima viene dal monotribunale, non credo che possa definirsi diversamente.
Si tratta di una causa per la declaratoria di nullità di un matrimonio civile.
La citazione viene notificata con invito a comparire davanti ad un Tribunale, la causa viene assegnata ad un giudice che, fino dalla prima udienza, si qualifica Presidente e procede nell'istruzione.
Svolge diverse udienze, sente i testi, fa concludere le parti ed, alla fine, emette una sentenza che reca la seguente intestazione:"Tribunale di ...., nella persona del giudice xyxy";
segue il testo della sentenza ed il dispositivo e, poi la firma: preceduta dal titolo"Il Presidente estensore".
Chissà se la partecipazione del P.M. abbia fatto sorgere qualche dubbio in questo Presidente estensore che la causa, per sua natura, dovesse essere decisa da un collegio.
Chissà se ha dimenticato di scrivere i nomi degli altri due giudici che, nella sua mente, avrebbero dovuto comporre questo collegio.
Certo non sembra che altri, al di fuori del Presidente, abbiano conosciuto di questa causa; almeno nulla risulta né dal verbale nè da altre fonti.
Eppure qualcosa deve essersi mosso nella mente di questo giudice, visto che non si è mai proclamato giudice unico ma "Presidente", tranne che nell'intestazione della sentenza in cui, più modestamentre si dichiara semplicemente "giudice" (anche se firma con il miglior titolo di "presidente").
Ovviamente chi ha avuto la peggio si è premurato di impugnare la sentenza e, come primo motivo, ha invocato la nullità del provvedimento.
Se la Corte accoglierà tale richiesta, si saranno perduti sette anni, tale essendo il tempo occorso perché il "Presidente estensore" facesse conoscere il suo pensiero.

Revisione di una decisione per prova ....vecchia.

C'è una Corte d'Appello che ha sospeso l'esecuzione di una sentenza penale definitiva, pronunciata nel 2006, per effetto di una "prova nuova" acquisita nel 2005.
L'istante per revisione, condannato in via definitiva nel 2006 per ricettazione di un assegno rubato, invocando l'art. 630, lettera c) c.p.p., sosteneva che nel luglio 2005 la vittima del furto aveva dichiarato ad un commissariato di P.S. che in realtà quel suo assegno non gli sarebbe stato rubato, ma gli sarebbe stato truffato.
Sulla base di questa sola dichiarazione chiedeva, in via cautelare, la sospensione dell'esecuzione della pena e la Corte d'Appello, pur riconoscendo che la dichiarazione era del 2005, tuttavia sospendeva l'esecuzione provocandone la scarcerazione, se non vi fossero altri titoli di detenzione, nonostante che la prova (ammesso che fosse tale e che comunque non poteva avere effetto sul reato di ricettazione per il quale era stato condannato, ma solo sul reato presupposto che avrebbe potuto mutare da furto a truffa, ma senza sostanziali conseguenze sulla responsabilità) era conoscibile e conosciuta dallo stesso imputato prima che venisse pronunciata la sentenza del 2006 che lo aveva condannato.
E tutto questo nonostante che il P.G., nel suo parere, avesse spiegato diffusamente che la prova non era tale ed era "vecchia" e conseguentemente che la richiesta di revisione dovesse essere dichiarata inammissibile.

mercoledì 19 marzo 2008

Finché c'è guerra c'è speranza.

Questa potrebbe sembrare una storia singolare, ma vi assicuro che è plurale, nel senso che non è un caso unico, ma è un modello al quale molti avvocati, specialisti in diritto di famiglia, si stanno ispirando.
Mi è venuta in mente leggendo un commento di Anonimo (Avv. Cosimo Saracino che ringrazio e saluto cordialmente), che riteneva che le "cose da pazzi" fossero esclusive dei civilisti.
In realtà questi specialisti del diritto hanno molto da insegnare.
La storia comincia con una normale causa di separazione tra coniugi davanti ad un Tribunale ordinario.
Entrambi dimostrano di essere quasi poveri e vedono riconosciuto il diritto al patrocinio a spese dello Stato. Alla prima udienza il Presidente dà i soliti provvedimenti provvisori sull'affidamento (condiviso) e sull'assegno di mantenimento.
Parte il primo reclamo ex art. 708 c.p.c. e la Corte conferma i provvedimenti presidenziali.
A questo punto la moglie si rivolge al Tribunale per i minorenni contestando il diritto del marito a vedere il figlio, perché è violento ed inadatto al ruolo di padre. Il Tribunale minorile, dopo una breve istruttoria, decide che entrambi i genitori sono inadeguati al ruolo ed affida il figlio minore ai Servizi Sociali, pur lasciandolo collocato nella casa coniugale assegnata alla madre.
Reclamo di entrambi i genitori, con motivazioni diverse, alla Corte minorile per invocare la revoca del decreto e stabilire che, a seconda delle difese, l'uno o l'altro dei genitori fosse l'unico a potersi occupare del minore.
Decreto della Corte d'Appello minorile di revoca dell'impugnato decreto, perché emesso da giudice incompetente per materia, sul presupposto che non sussisteva alcuno dei presupposti previsti dagli artt. 330, 333 c.c. e, quindi, riconoscimento della validità ed attualità delle decisioni del Presidente del Tribunale ordinario (intanto il procedimento è passato al G.I., al quale le parti rivolgono diverse istanze di modifica delle statuizioni presidenziali).
Ma il difensore della madre ricorre nuovamente al Tribunale minorile dicendo che ci sono altri elementi per escludere il padre da alcun rapporto con il figlio perché non si è sottomesso al percorso di recupero della genitorialità prescritto dal Tribunale minorile.
Altro decreto dello stesso Tribunale che, preso atto che il padre non si è presentato agli appuntamenti con il servizio sociale che doveva recuperarlo al ruolo di padre, reitera l'affidamento del minore al servizio sociale, collocandolo nuovamente in casa della madre, e prescrivendo al padre un nuovo percorso di recupero del suo ruolo.
Altro ricorso alla Corte minorile di entrambi i genitori, ciascuno per sostenere che non ci sono i presupposti per l'affidamento ai servizi sociali e rivendicando l'affidamento in via esclusiva del povero figlio.
Nuova decisione della Corte minorile che ribadisce l'incompetenza per materia del Tribunale minorile per carenza dei presupposti ex artt. 330 e 333 c.c. e, quindi, nuova rivitalizzazione degli originari provvedimenti provvisori del Presidente del Tribunale ordinario.
Nel frattempo il Tribunale ordinario, al quale nessuno ha comunicato le decisioni della Corte minorile, all'esito del procedimento di separazione giudiziale, così decide:
Considerato che per le questioni di affidamento del minore non è competente perché si è dichiarato tale il Tribunale per i minorenni, nulla decide su tale punto; ritenuto, tuttavia, che per le questioni relative all'assegno di mantenimento di moglie e figlio conserva la propria competenza, essendo esclusa quella del Tribunale minorile per le questioni economiche riguardanti soggetti regolarmente coniugati, pone a carico del padre un assegno di mantenimento per moglie e figlio.
Ovviamente appello di entrambe le parti, questa volta davanti alla Corte d'Appello ordinaria, con le seguenti posizioni rispettive:
Per la moglie confermarsi l'incompetenza del giudice ordinario ed affermarsi quella del giudice minorile per quanto riguarda l'affidamento, ma, sulla base della precedente decisione della Corte minorile, disporre l'affidamente in via esclusiva alla madre; per il marito, riformarsi la decisione impugnata perché, come già stabilito dalla Corte minorile, è competente anche per l'affido del minore il giudice ordinario e, quindi, affidamento congiunto.
Naturalmente entrambi i coniugi impugnano, con opposte motivazioni, la decisione del Tribunale sul quantum degli assegni.
La decisione della Corte è attesa tra qualche giorno.
Ma, intanto, mi chiedo: questi coniugi, ufficialmente poveri, quanti denari hanno sottratto al bilancio dello Stato per difese reiterate e discutibili e con quale vantaggio per il loro unico figlio?